Pittore e scultore italiano. Nato in una famiglia di modeste origini, da padre
italiano e madre francese, fu avviato all'arte soprattutto dalla madre,
Eugénie Garsin. Dopo gli studi classici, fu colpito da una grave forma di
tifo che lo costrinse a un viaggio di convalescenza nel Sud: in quell'occasione
conobbe le opere di Tino da Camaino, che fecero nascere in lui il desiderio di
dedicarsi alla scultura. Tornato a Livorno, si iscrisse invece ai corsi di
pittura di G. Micheli. Nel 1901, ammalatosi di tubercolosi, fu di nuovo
costretto a un periodo di degenza a Capri. Nel 1902 frequentò la scuola
di Belle Arti a Firenze e l'anno successivo a Venezia, dove entrò in
contatto con l'arte figurativa mitteleuropea: G. Klimt, le secessioni, lo
Jugendstil. La sua formazione artistica si completò grazie ai continui
spostamenti da una città all'altra, che gli consentirono di entrare in
contatto con le più significative esperienze europee in campo pittorico.
La consapevolezza dell'arretratezza della situazione italiana rispetto al
fermento europeo e la lettura delle riviste che puntualmente riceveva da Parigi,
persuasero
M. della necessità di partire per la capitale francese
(1906). Si inserì presto nella cerchia dei fauves; fu soprattutto
Cézanne a influenzare la pittura di
M.: ne sono un esempio opere
come
Il suonatore di violoncello (1909) o
Il mendicante di Livorno
(1909). Nel 1908 si iscrisse alla Società degli artisti indipendenti,
dove espose alcuni quadri. Nello stesso anno conobbe lo scultore rumeno C.
Brancusi e riprese l'antico progetto di dedicarsi alla scultura. Da Brancusi
mutuò il culto per la forma chiusa, l'amore per il linearismo e per la
scultura negra. Tornato per breve tempo a Livorno, progettò di fermarsi a
Carrara per lavorarvi il marmo. Nel 1910 fu di nuovo a Parigi, presente al
Salone degli indipendenti con tre tele. Nel 1912, insieme ad altri italiani
(Arturo Martini, Giorgio De Chirico, Gino Rossi), espose al Salon d'Automne
alcune sculture: caratteristiche le teste allungate che richiamano l'arte negra
e arcaica. L'esperienza della scultura fu essenziale nel determinare la funzione
della linea nei suoi ritratti. Fu in quegli anni che
M. passò
dalle tele post-macchiaiole alla sintetica stilizzazione tipica della sua arte,
raggiunta attraverso la conoscenza di Cézanne e l'influenza della
scultura negra. Ne nacque uno stile che bandì il chiaroscuro, e volle
forme allungate dai contorni volutamente asimmetrici, cariche di significati
simbolici. Tema quasi esclusivo delle sue tele fu la figura umana, realizzata
con poche linee essenziali e audaci accostamenti di colore, di masse chiare e
scure che ricordano la scomposizione cubista che in
M. non è
però portata alle estreme conseguenze. In quel periodo compì
numerosi ritratti: per
Diego Rivera, per
Léopold Zborowski
(che più volte lo aiutò anche economicamente), per gli amici
Soutine, Picasso, Gris, Cocteau. Poi passò ai nudi (1915), che rendono la
misura della maturità raggiunta:
Nudo rosso (1917),
Nudo
seduto (1916). Logorato irrimediabilmente da una vita sregolata, nel 1917 si
ammalò gravemente di nefrite. Tra le ultime opere ricordiamo: il
Ritratto di Jeanne in maglione, e l'
Autoritratto (1919) (Livorno
1884 - Parigi 1920).
Amedeo Modigliani: “Nudo sdraiato”